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Negli ultimi anni, l’industria della moda ha assistito a un’evoluzione interessante. Dopo un periodo in cui il concetto di body inclusivity e l’uso di modelle di taglia più grande sembravano guadagnare terreno, si è registrato un netto ritorno all’ideale della magrezza. Recenti rapporti, come quello pubblicato da Vogue Business, rivelano che le sfilate delle Fashion Week Primavera-Estate 2026 hanno visto una predominanza schiacciante di modelle estremamente magre.
Analizzando un totale di 9.038 look presentati nelle principali città della moda – New York, Londra, Milano e Parigi – il rapporto ha evidenziato che il 97,1% dei modelli era rappresentato da modelle classificate come molto esili (categorie US 0-4, UK 4-8, FR 32-36). In contrasto, le modelle di taglia regolare e quelle plus-size hanno visto una rappresentanza minima, rispettivamente del 2% e dello 0,9%.
Le parole di Aude Perceval, booker di un’agenzia specializzata in modelle plus-size, evidenziano un problema crescente: “ci sono sempre meno modelle plus-size sulle passerelle”. A Parigi, questa tendenza risulta particolarmente marcata, nonostante gli stilisti stiano iniziando a creare abiti che valorizzano silhouette più generose, come i corsetti. In alcuni casi, le modelle presentano imbottiture per accentuare forme a clessidra, segnalando un paradosso nell’industria.
Il movimento body positive, emerso negli anni 2010, ha cercato di promuovere l’accettazione di corpi diversi e di combattere i danni causati dalla pressione di conformarsi a standard di bellezza irrealistici. Tuttavia, secondo la modella Doralyse Brumain, si sta osservando una regressione significativa nella disponibilità di contratti e nei compensi per le modelle di taglia più grande.
Negli ultimi tempi, l’estetica della magrezza estrema sta riemergendo, richiamando il concetto di “heroin chic” degli anni ’90, reso popolare da figure come Kate Moss. Esther Boiteux, casting director, sottolinea come ci sia la convinzione errata che la magrezza equiva a eleganza e ricchezza, contribuendo a perpetuare ideali di bellezza tossici.
Un altro aspetto da considerare è che molti abiti da sfilata sono progettati per una sola taglia, quella delle modelle magre. Creare capi per modelle di taglie diverse richiede un processo di produzione complesso e maggiori risorse, il che spiega in parte la resistenza dell’industria ad adottare modelli più inclusivi. Ekaterina Ozhiganova, fondatrice di un’associazione per la tutela dei diritti delle modelle, afferma che i consumatori desiderano vedere una maggiore diversità nelle passerelle, ma ciò richiede un cambiamento radicale nell’intera filiera produttiva.
La stilista Jeanne Friot esprime l’auspicio che le passerelle di moda diventino spazi di rappresentanza per tutti, indipendentemente dalla taglia, dall’età o dall’etnia. In questo contesto, l’assenza di modelle di taglia regolare è sempre più evidente e suscita preoccupazioni crescenti.
La giornalista di moda Sophie Fontanel ha recentemente condiviso su Instagram la necessità di far sentire la propria voce contro gli standard imposti dall’industria. È fondamentale che la moda evolva verso aspettative più inclusive e realistiche, abbandonando un ideale di bellezza obsoleto e irraggiungibile.
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